La Corte di Cassazione – Sezione Lavoro con Sentenza n. 6769 del 02 aprile 2015 ha rilevato che la malattia professionale contratta da un dipendente tra il 1969 e il 1976 e con stabilizzazione dei postumi, non era stata causa del decesso del lavoratore, avvenuto nel 1989, pertanto la richiesta degli eredi di ottenere il risarcimento undici anni dopo è stata respinta.
Contro la sentenza sono ricorsi gli eredi del lavoratore, fra l’altro, per vizio di motivazione della sentenza, “in ragione della omessa consulenza tecnica medico legale in appello, dell’erroneo utilizzo delle risultanze della consulenza di primo grado, della mancata ricostruzione dello stato di salute del ricorrente e della mancata considerazione dell’efficienza debilitante che la malattia professionale aveva avuto e dunque della rilevanza concausale della stessa nella morte del lavoratore”.
La Cassazione afferma che “la sentenza impugnata ha invece verificato che la morte del lavoratore è dipesa da cause autonome rispetto alla tecnopatia riconosciuta molti anni prima, le cui patologie sono rimaste immutate e non hanno subito aggravamenti da molti anni prima del decesso del lavoratore”.
Su tale valutazione causale del decesso “non possono assumere rilievo le deduzioni del ricorrente in ordine alla incidenza indiretta di altre patologie, per aver indebolito le difese dell’organismo del lavoratore ed inciso sui caratteri della malattia sopravvenute, accelerandone il decorso verso l’esito letale”.
Infatti a distanza di molti anni, deve rilevarsi che il nesso eziologico è interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni, quindi va escluso un ruolo concausale della malattia professionale in relazione alla morte verificatesi molti anni dopo, per patologie del tutto autonome e distinte.
Ne deriva, in conclusione dalla sentenza, “poiché la morte del lavoratore non è configurabile quale sviluppo e conseguenza delle patologie professionali, ma è conseguenza di patologia del tutto autonoma, che essa non rileva ai fini della decorrenza del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria nei confronti del datore di lavoro”.
L’azione risarcitoria del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, si fa osservare nella sentenza della Cassazione, è soggetta comunque al termine prescrizionale ordinario, che decorre dal momento in cui il lavoratore aveva potuto avere piena consapevolezza della malattia (nel caso, dal 1974, anno di riconoscimento della rendita da parte dell’INAIL e il termine decennale era quindi già decorso al momento della morte del lavoratore).
Possiamo quindi affermare che la risposta al quesito di cui al titolo è la seguente: “in tema di risarcimento del danno subito dal lavoratore per effetto della mancata tutela da parte del datore delle condizioni di lavoro, in violazione degli obblighi imposti dall’art. 2087 c.c., la prescrizione – decennale, ove il lavoratore esperisca l’azione contrattuale – decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile” (Cass., Sez. Lavoro, Sentenza n. 19022 del 11/09/2007).
Safety Focus – Anno II – Numero 07 – 20 Maggio 2015