di Davide SCOTTI
Le assicurazioni hanno tagliato i risarcimenti perché le studentesse non indossavano la cintura di sicurezza. I genitori: «Sembra quasi che la colpa sia stata delle ragazze».
«Amarezza e rabbia». Sono i sentimenti del presidente del Consiglio Matteo Renzi alla notizia dei rimborsi ridotti che le assicurazioni hanno proposto alle famiglie delle vittime della strage sul pullman di studenti a Tarragona, in Spagna, in cui il 20 marzo morirono sette giovani italiane.
Così titolava il Corriere della Sera del 11/07/2016 e devo dire che non mi è proprio piaciuto leggere questi articoli in questi giorni. È vero dire che la colpa non è di quelle povere ragazze. Ma sarebbe giusto sottolineare che la colpa, casomai, è di tutti. Proprio tutti. Renzi compreso. Di tutti noi che continuiamo a porgere il fianco ad un assassino spietato e silenzioso. Un assassino che si chiama “cultura”, ovvero il modo di fare le cose qui, in questo Paese dove continua ad essere normale, anche a fronte di una tragedia come questa, pensare che indossare la cintura di sicurezza su un bus o su un auto (specie dietro) non sia vitale.
Capisco il dolore, e rispetto chi ha perso i figli su quel maledetto pullman, ma non mi piace la manipolazione dei fatti e neanche il mancato approfondimento dei giornalisti. Non si può insinuare, come hanno dichiarato i genitori e scritto i giornali, che non sia provato il fatto che le ragazze non avessero la cintura! Basterebbe fare una ricerca sui giornali spagnoli che raccolsero le dichiarazioni di soccorritori e polizia per avere informazioni più complete ed attendibili. Così come, non prendiamoci in giro dai, lo sappiamo bene che da noi nessuno le allaccia le cinture su un bus; figuriamoci se ci hanno pensato delle ragazze di 20 anni in “gita”!
La domanda da farsi è: perché la maggior parte dei morti sono stati italiani? E come mai la maggior parte dei sopravvissuti (di altri paesi europei) aveva le cinture allacciate? Cosa è stato diverso nella loro educazione e crescita? Può essere che abbiano fatto una cosa normale nella loro cultura, nel loro “modo di fare le cose”? E può essere che quella cosa cosi normale gli abbia salvato la vita? Così come purtroppo hanno fatto la cosa normale per loro (per noi) quelle povere ragazze italiane cresciute in un posto dove “la cintura dietro non serve”, “è da sfigati”, “è più pericolosa che averla”, e tutte quelle altre stronzate alle quali in troppi (tanti genitori compresi) si sono convinti. Ma di questa cultura, di questo assassino, tutti, dico tutti, anche io e anche tu, ne siamo in qualche modo complici. Incluso chi leggendo questo post si incazza pure perché si sente tirato in causa!
E continueremo ad essere colpevoli e complici finché queste cose non avremo il coraggio di denunciarle a parlarne apertamente, anche condividendo questo post, affinché sempre più persone conoscano il volto di questo spietato assassino e insieme possano così aiutarsi a disarmarlo.
Safety Focus – Anno III – Numero 9 – 15 Luglio 2016